Storia della Pallamano a Modena

Amarcord

Immaginatevi un ipotetico, ignaro passante che la domenca mattina si recava in centro e si trovava non solo innanzi a una strana partita di calcio dove si giocava con le mani invece che coi piedi, ma soprattutto immerso in un caleidoscopico contorno folkloristico che anticipava già da allora le attuali clamorose risse televisive, con turpiloqui coloratissimi, aggressioni verbali con risse virtuali disputate sulle etimologie verbali, sui doppi sensi sui fantasiosi ed espliciti riferimenti alla scarsa fedeltà coniugale dei congiunti della coppia arbitrale e  con allusioni clamorose alla scelleratezza di costumi sessuali da kamasutra estremo. Quel passante non poteva fare altro che fermarsi,...nessuno poteva resistere a queste autentiche anteprime di reality show ed infatti il nostro pubblico era formato dai soliti aficionados della domenica mattina, che conoscevamo tutti per nome e cognome, 58, compresi i custodi del palazzetto che non si perdevano mai lo spettacolo e Rosino, il nostro portafortuna umano ad alto gradiente alcolico, che utilizzavamo  in casi di emergenza nelle mattinate invernali, per sciogliere il ghiaccio (aveva una tremenda fiatata antigelo)..., ma anche e soprattutto da coloro che, man mano che passavano, si lasciavano irresistibilmente catturare da quell'inusuale e folkloristico spettacolo.

Per dare l’idea di un clima che era più goliardico che da ultras, basti citare due episodi di questo genere proprio nelle prime partite che disputavamo allora in quel piazzale del Novi Sad che allora era denominato semplicemente come ex-ippodromo.

In una partita contro il Gaeta la nostra ala, Carletto Cavani, (un metro e sessanta per 58 Kg.) si “prese in strino” con il proprio avversario diretto, Casaburi, un autentico mastino napoletano con qualche cromosoma di Rothwailer, scambi di colpi più o meno proibiti, furberie e provocazioni… le solite cose insomma… fino a quando, ad un certo punto, in una fase di interruzione del gioco, conseguente ad un fallo subito, vedemmo il Rothwailer di Gaeta partire imbufalito in quarta verso  Carletto, che probabilmente gli aveva suggerito alcune pratiche sessuali da proporre ai suoi famigliari più stretti.

Non era la prima volta che ciò succedeva, era già successo a Roma con il gigantesco Runer, un nordico Troll scolpito in un blocco di granito di due metri e dai capelli lunghi simile allo Schwarznegger di “Conan il barbaro” e che allora giocava per l’Esercito Roma (certo che Carletto se li sapeva proprio scegliere quelli coi quali litigare).

Di solito Carlo si rifugiava dietro ai nostri pezzi da novanta dove trovava rifugio e protezione dalla preponderanza fisica altrui, ma questa volta…. Zanfi, Palmieri, “Giona” e tutti gli altri grandi e grossi erano lontani per cui l’istinto gli suggerì l’unica soluzione percorribile, saltò la transenna e si nascose fra il pubblico che lo accolse e lo nascose dalla violenza e dalla prepotenza ringhiante di quel mastino gaetano senza spirito e senza ironia.

 Chiaramente i primi a sbellicarsi dalle risate, oltre al pubblico furono gli arbitri che invitarono Cavani ad uscire dalla clandestinità e a rientrare in campo per chiedere scusa all’avversario.

Sempre in quella partita, evidentemente segnata dal destino, successe un altro episodio che ricordai per forza di cose per parecchio tempo.

Eravamo in possesso di palla, in attacco: io stazionavo leggermente fuori dal limite della mia area di porta, come sempre quando i miei compagni erano in attacco, per cercare di limitare la possibilità di eventuali contropiedi avversari.

Uno dei miei fece uno di quei tiri pretenziosi e sciocchi, un tiro in stile mozzarella, tanto che il portiere avversario lo bloccò comodamente.

Percepii immediatamente la pericolosità della situazione e anche il mio avversario dirimpettaio, nella porta dall’altra parte del campo se ne rese conto e ci provò… tentò un tiro diretto da porta a porta,… arretrai precipitosamente, ma mi resi immediatamente conto che la parabola disegnata dall’avversario era destinata ad oltrepassare la porta senza alcun pericolo e pertanto mi rilassai, ma così non fu per tutti.

Palmieri, evidentemente, aveva valutato in modo diverso la balistica e vedendo il mio rilassamento mi urlò in modo deciso e concitato:

-         Salta! -.

Cosa volete che vi dica, ero ancora schiavo e succube di quella mitologia pagana che mi vietava di mettere in discussione l’infallibilità e la caducità di colui che era stato fino ad allora uno dei miei maestri, per cui, pur rendendomi conto dell’inutilità del gesto, spiccai un bel salto verso l’alto, peccato che fossi giustappunto sotto la traversa per cui diedi una capocciata tale che i passanti guardarono l’orologio per vedere se era suonato mezzogiorno ed invece ero suonato solo io.

 Il risultato finale fu che noi vincemmo di 4 punti, giusto quelli che mi diedero in testa per ricucire la ferita e nella prosecuzione di quel campionato raggiunsi una discreta notorietà presso gli avversari come “il portiere con la coppola” a causa della berretta che sfoggiai nelle partite successive per ricoprire la medicazione sulla testa.

Ricordo un altro episodio in un derby col Bologna di Cortelli.che allora era uno dei giocatori più odiati in campo da gran parte degli avversari per il suo eccessivo agonismo, ai limiti della sclerosi psichica, le sue prestazioni si sviluppavano sempre sui binari della rabbia agonistica e della nevrosi, ma era anche un giocatore abile e funambolico, un leader in campo e fuori.

Detto ciò, successe che a un certo punto di quella partita naturalmente tesa, vibrante e nervosa Cortelli in una mischia incasinatissima subì un fallo da rigore, ma non contento del semplice rigore ottenuto, rialzandosi  incazzatissimo e con la bava alla bocca urlò rivolto ai nostri difensori

-         Chi è stato? Chi è quel vigliacco che mi ha fatto questo fallo di merda? –

Normalmente questo è il tipo di domanda pletorica, cioè inutile in quanto si conosce già la risposta.

 Nessuno risponderà!

Invece quella volta la risposta ci fu e fu proprio capitan Zanfi dall’alto del suo metro e novantadue a piegarsi minacciosamente sul metro e sessanta di Cortelli e urlargli nelle orecchie ,

“ Sono stato io!

 Perché , hai qualcosa da ridire?”

E Cortelli,

“No… così ..., era giusto per sapere!”.

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